La sostituzione della
plastica con materiali alternativi, non meno impattanti sul Pianeta come la carta
e le plastiche biodegradabili e compostabili, e i crescenti investimenti nello
sviluppo di nuovi sistemi di riciclo tutt’altro che efficaci, non sono soluzioni
efficaci per risolvere il problema dell’inquinamento da plastica. È quanto emerge dal report di Greenpeace “Il
Pianeta usa e getta. Le false soluzioni delle multinazionali alla crisi
dell’inquinamento da plastica”, che evidenzia come le soluzioni
promosse dalle grandi aziende degli alimenti e delle bevande, non riducendo a
monte la produzione di packaging usa e getta, consentiranno di perpetuare un
modello di business e di consumo insostenibile per l’ambiente.
“Nonostante le crescenti prove
scientifiche sui danni irreversibili che l’inquinamento da plastica può
causare, la produzione aumenterà drasticamente nei prossimi anni” dichiara
Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace. “Le multinazionali continuano a promuovere
come sostenibili alternative che in realtà non lo sono e che rischiano di
generare ulteriori impatti su risorse naturali già eccessivamente sfruttate, come
le foreste e i terreni agricoli. Per risolvere il problema dell’inquinamento da
plastica, le grandi aziende devono ridurre drasticamente la produzione di usa e
getta, investendo in sistemi di consegna dei prodotti basati sul riuso e sulla
ricarica e che non prevedano il ricorso a packaging monouso»
Se da un lato molte multinazionali -
incluse Nestlé, Unilever e PepsiCo - si sono impegnate a rendere i propri
imballaggi in plastica riciclabili, riutilizzabili, compostabili o realizzati
con materiali riciclati, dall’altro continuano ad aumentare la produzione di
prodotti confezionati in plastica monouso o in altri materiali usa e getta. Il
report di Greenpeace sottolinea come le grandi aziende stiano investendo in
tecnologie di riciclo emergenti basate sul trattamento chimico dei rifiuti in
plastica, i cui reali impatti lasciano numerosi dubbi, e sul riciclo
tradizionale, opzione non in grado di arginare il problema.
La sostituzione della plastica con la
carta potrebbe inoltre generare enormi pressioni sulle foreste del Pianeta,
ecosistemi a elevata biodiversità e fondamentali nella lotta al cambiamento
climatico. E anche il passaggio a plastiche biodegradabili e compostabili ha un
impatto importante, perché si tratta di materiali provenienti da colture
agricole. Inoltre, gran parte di queste plastiche, oltre a essere costituite in
maggior parte da plastica tradizionale, necessitano di condizioni particolari
per il loro smaltimento che difficilmente si trovano in natura. Di conseguenza,
se disperse nell’ambiente, possono dar luogo agli stessi impatti generati dalla
plastica tradizionale.
Il report evidenzia inoltre come l’industria delle
fonti fossili stia reindirizzando parte dei propri investimenti nella
produzione di plastica che, secondo stime recenti, aumenterà del 40 per cento
nei prossimi dieci anni arrivando ad essere responsabile del 20 per cento del
consumo mondiale di petrolio. Entro la fine del 2019, inoltre, la
produzione di plastica e il suo incenerimento raggiungerà, a livello mondiale,
una quantità di emissioni di anidride carbonica pari a quelle di 189 centrali elettriche a
carbone con conseguenze importanti anche sul
clima.
Per
spingere le grandi multinazionali a intervenire sul problema dell’inquinamento
da plastica, Greenpeace ha da tempo lanciato una petizione, sottoscritta da più
di quattro milioni di persone in tutto il mondo, con cui chiede ai grandi
marchi come Nestlé, Unilever, Coca-Cola, PepsiCo, Ferrero e San Benedetto e
Danone di ridurre la produzione, investendo in sistemi di consegna alternativi
che non prevedano il ricorso a contenitori e imballaggi in plastica e altri
materiali monouso.
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