Gli oceani del Pianeta potrebbero subire
gravi e irreversibili danni dall’avvio di estrazioni minerarie in alto mare. È
quanto emerge da “In
acque profonde”, report di Greenpeace International che
rivela come l’industria dell’estrazione mineraria in alto mare sia consapevole e
noncurante del fatto che queste attività potrebbero portare all’estinzione di
specie uniche. Per questo Greenpeace invita le Nazioni Unite a stipulare un solido
Trattato globale sugli Oceani, che sia in grado di dare priorità alla
conservazione di questi ecosistemi e non al loro sfruttamento.
«Gli abissi sono il più grande ecosistema del Pianeta,
nonché la casa di creature uniche che a malapena conosciamo. L’avidità di questo
nuovo settore industriale potrebbe distruggere le meraviglie presenti sui
fondali degli oceani prima ancora di avere la possibilità di osservarle e
studiarle» dichiara Louisa Casson, della campagna Protect the Oceans di
Greenpeace.
Ad oggi, solo circa lo 0,0001% dei fondali degli abissi è
stato esplorato o campionato. Il report di Greenpeace mette in guardia dalle
inevitabili minacce alla vita marina in vaste aree degli oceani del Pianeta che
potrebbero derivare dalle operazioni minerarie e dall’inquinamento da sostanze
tossiche, se i governi permetteranno che l’estrazione in acque profonde inizi. Le
attività minerarie potrebbero inoltre amplificare il fenomeno del cambiamento
climatico causando il rilascio di carbonio intrappolato nei sedimenti marini o
interrompendo quei processi che facilitano la cattura di carbonio nei sedimenti
marini profondi.
Anche se le attività commerciali di estrazione mineraria
non sono ancora iniziate, sono già state rilasciate 29 licenze di esplorazione
a Paesi come Cina, Corea, Regno Unito, Francia, Germania e Russia, che hanno
rivendicato vaste aree del Pacifico, dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano, per
una copertura complessiva di circa un milione di kilometri quadrati, pari quasi
a due volte la superficie della Spagna.
Il report di Greenpeace sottolinea anche la debolezza
dell’attuale governance oceanica, con l’International Seabed Authority (ISA),
l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di regolamentare l’industria
dell’estrazione mineraria in alto mare, che dà priorità agli interessi delle
imprese a discapito della protezione marina.
«È essenziale che i governi si accordino su un trattato ONU
abbastanza forte da aprire la strada alla creazione di un network di santuari
oceanici inaccessibili ad ogni forma di sfruttamento industriale, inclusa
l’estrazione mineraria in alto mare», continua Casson. «È inoltre necessario
imporre standard ambientali ben più alti per qualsiasi attività di questo tipo
al di fuori di questi santuari».
Per chiedere ai principali marchi
tecnologici mondiali di prendere le distanze dall'estrazione mineraria in alto
mare, Greenpeace ha di recente lanciato una campagna per chiedere agli utenti
di marchi come Apple, Google, Microsoft e HP di invitare questi giganti
tecnologici a escludere qualsiasi uso futuro di metalli e minerali estratti
dalle profondità oceaniche per la fabbricazione dei propri prodotti.
Greenpeace sostiene la transizione verso un
mondo rinnovabile al 100 per cento entro il 2050 e incoraggia i governi, i
produttori e i consumatori ad adottare modelli di economia circolare più
sostenibili che riducano la necessità di estrarre metalli e minerali. I marchi
e i produttori devono concentrarsi maggiormente sulla progettazione dei
prodotti, riducendo la necessità di nuove materie prime rendendo i prodotti più
durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili.
Leggi il report “In acque
profonde”
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