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giovedì 26 marzo 2020

Australia, nuovo sbiancamento della barriera corallina


La Grande Barriera Corallina australiana è stata colpita da un nuovo fenomeno di sbiancamento massiccio dei coralli, il terzo in cinque anni dopo quello del 2016 e del 2017, a causa delle temperature elevate dell’oceano che si stanno registrando.

L’annuncio dell’Agenzia responsabile del Parco Marino della Grande Barriera Corallina arriva oggi, dopo l’allarme lanciato in questi giorni dai ricercatori del Centro di eccellenza per gli studi della barriera corallina della James Cook University, che stanno conducendo dei sorvoli su tutta l’area per valutare il fenomeno. Lo studio si concluderà nei prossimi giorni ma ha già evidenziato fenomeni di esteso sbiancamento sia nelle aree più vicine alla costa della Barriera al nord, e in aree che non erano state toccate da precedenti fenomeni di sbiancamento al sud.

La causa principale del fenomeno è l’aumento delle temperature, particolarmente elevate in Australia a febbraio, che ha portato a un drastico aumento anche delle temperature marine. A causa dello stress termico i coralli espellono le alghe (zooxanthellae) che vivono nei loro tessuti, causandone lo sbiancamento. Se le temperature non tornano alla normalità entro le 6-8 settimane, i coralli muoiono. I coralli possono sopravvivere a un fenomeno di sbiancamento, ma subiscono comunque un notevole stress. Nel 2016, il 93 per cento dei coralli della Grande Barriera Corallina è stato soggetto a sbiancamento, e il 22 per cento è poi morto, con aree colpite in modo severo dallo sbiancamento che hanno visto la morte fino al 50-90 per cento dei coralli presenti.



“I cambiamenti climatici stanno minacciando questo ecosistema unico, mettendo a rischio le comunità locali e gli operatori turistici che dipendono dalla conservazione della barriera corallina, ancora di più in questo momento in cui il Covid19 mette a rischio il loro lavoro” commenta Giorgia Monti, campagna Mare di Greenpeace Italia.

La Grande Barriera Corallina è uno dei parchi più conosciuti al mondo e contribuisce in maniera significativa all’economia australiana. Greenpeace Australia chiede al governo federale, nel momento in cui vengono prese misure di stimolo all’economia di non sostenere l’industria del carbone e promuovere la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, che sono la principale minaccia per la barriera.

“Da anni gli esperti ci mettono in guardia sugli impatti del cambiamento climatico sulle barriere coralline tropicali. Quanti altri campanelli d’allarme dobbiamo aspettare prima di fare le scelte giuste? Dimezzare le emissioni di gas serra e tutelare le zone più sensibili dei nostri mari è l’unico modo di evitare che ecosistemi così preziosi scompaiano con gravi conseguenze anche per l’uomo” conclude Monti.


venerdì 28 febbraio 2020

Dal governo italiano un importante impegno per la tutela del mare


Greenpeace accoglie con favore la notizia arrivata ieri da Napoli dove, durante il vertice tra Italia e Francia, il governo ha annunciato l’impegno di arrivare a un “30% di aree protette marine e terrestri entro il 2030”. Un impegno adottato dai due Paesi in un momento particolarmente importante: nel 2020 dovranno essere prese a livello globale decisioni ambiziose per poter garantire al Pianeta un futuro.

L’annuncio è arrivato mentre a Roma, presso la FAO, delegazioni di oltre 190 Paesi stanno discutendo gli impegni da adottare durante la prossima riunione della Convenzione della Biodiversità, che si terrà a ottobre in Cina, per la tutela della biodiversità del Pianeta, compresa quella marina.

«L’impegno dell’Italia di avere almeno il 30 per cento di aree protette in mare entro il 2030 arriva in un momento cruciale per la sopravvivenza dei mari, stremati da attività umane distruttive come le trivellazioni, l’inquinamento da plastica e la pesca eccessiva, e adesso sempre più minacciati dal cambiamento climatico», dichiara Giorgia Monti responsabile della campagna mare di Greenpeace Italia. «È importante adesso sostenere questo impegno in sede internazionale e lavorare per sviluppare meccanismi efficaci per metterlo in pratica e proteggere davvero le aree più sensibili».

Un rapporto pubblicato dall’ONU lo scorso maggio parla, infatti, di un milione di specie a rischio estinzione a causa dall'impatto umano, più che in ogni altro periodo della nostra storia. Tra queste, circa il 40 per cento riguarda specie di anfibi e un terzo dei mammiferi marini. A settembre, un rapporto dell’IPCC, ha lanciato un nuovo grave allarme su come i cambiamenti climatici stiano compromettendo seriamente i nostri oceani, accentuando l’impatto delle altre attività umane.

Per Greenpeace però le soluzioni esistono, è necessario da un lato tagliare le emissioni dei gas serra e dall’altro proteggere, come dichiarato oggi dall’Italia, almeno un terzo dei nostri mari entro il 2030 con una rete di aree protette. Un obiettivo che gli scienziati definiscono “cruciale” per proteggere l’ecosistema marino e contribuire a mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici.

«Il 2020 è un anno decisivo per i nostri oceani. A livello internazionale possono infatti esser prese decisioni destinate a influenzare il loro futuro per sempre», continua Monti. «Davanti alle drammatiche evidenze degli ultimi anni, gli impegni devono essere trasformati in azioni concrete. I governi di tutto il mondo devono rimboccarsi le maniche per fare quello che chiediamo da anni: istituire una rete di aree che siano veramente protette. Confidiamo che l’Italia, dopo questa dichiarazione, lavori in maniera attiva in tale direzione a livello internazionale, comunitario e nazionale. C’è bisogno di un’azione coordinata e globale per salvare gli oceani del Pianeta» conclude Monti.

A fine marzo si terranno i negoziati finali per definire un accordo ONU per la tutela degli oceani. È fondamentale che tale trattato preveda la possibilità non solo di istituire aree protette ma anche quella di sviluppare concrete misure per proteggerle. I mari del Pianeta non hanno bisogno di altri parchi “carta”, come il Santuario Pelagos, ma di aree dove a tartarughe, delfini e tutti i suoi abitanti sia garantito di poter sopravvivere. Oltre 2 milioni e 5 mila persone in tutto il mondo si sono unite alla campagna “Proteggi gli Oceani” di Greenpeace. Milioni di voci per la tutela del mare che l’organizzazione ambientalista porterà ai governi che si riuniranno a New York.

martedì 23 luglio 2019

Greenpeace: "Oceani danneggiati da estrazioni di metalliin acque profonde"



Gli oceani del Pianeta potrebbero subire gravi e irreversibili danni dall’avvio di estrazioni minerarie in alto mare. È quanto emerge da “In acque profonde”, report di Greenpeace International che rivela come l’industria dell’estrazione mineraria in alto mare sia consapevole e noncurante del fatto che queste attività potrebbero portare all’estinzione di specie uniche. Per questo Greenpeace invita le Nazioni Unite a stipulare un solido Trattato globale sugli Oceani, che sia in grado di dare priorità alla conservazione di questi ecosistemi e non al loro sfruttamento.
«Gli abissi sono il più grande ecosistema del Pianeta, nonché la casa di creature uniche che a malapena conosciamo. L’avidità di questo nuovo settore industriale potrebbe distruggere le meraviglie presenti sui fondali degli oceani prima ancora di avere la possibilità di osservarle e studiarle» dichiara Louisa Casson, della campagna Protect the Oceans di Greenpeace.
Ad oggi, solo circa lo 0,0001% dei fondali degli abissi è stato esplorato o campionato. Il report di Greenpeace mette in guardia dalle inevitabili minacce alla vita marina in vaste aree degli oceani del Pianeta che potrebbero derivare dalle operazioni minerarie e dall’inquinamento da sostanze tossiche, se i governi permetteranno che l’estrazione in acque profonde inizi. Le attività minerarie potrebbero inoltre amplificare il fenomeno del cambiamento climatico causando il rilascio di carbonio intrappolato nei sedimenti marini o interrompendo quei processi che facilitano la cattura di carbonio nei sedimenti marini profondi.
Anche se le attività commerciali di estrazione mineraria non sono ancora iniziate, sono già state rilasciate 29 licenze di esplorazione a Paesi come Cina, Corea, Regno Unito, Francia, Germania e Russia, che hanno rivendicato vaste aree del Pacifico, dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano, per una copertura complessiva di circa un milione di kilometri quadrati, pari quasi a due volte la superficie della Spagna.
Il report di Greenpeace sottolinea anche la debolezza dell’attuale governance oceanica, con l’International Seabed Authority (ISA), l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di regolamentare l’industria dell’estrazione mineraria in alto mare, che dà priorità agli interessi delle imprese a discapito della protezione marina.
«È essenziale che i governi si accordino su un trattato ONU abbastanza forte da aprire la strada alla creazione di un network di santuari oceanici inaccessibili ad ogni forma di sfruttamento industriale, inclusa l’estrazione mineraria in alto mare», continua Casson. «È inoltre necessario imporre standard ambientali ben più alti per qualsiasi attività di questo tipo al di fuori di questi santuari».
Per chiedere ai principali marchi tecnologici mondiali di prendere le distanze dall'estrazione mineraria in alto mare, Greenpeace ha di recente lanciato una campagna per chiedere agli utenti di marchi come Apple, Google, Microsoft e HP di invitare questi giganti tecnologici a escludere qualsiasi uso futuro di metalli e minerali estratti dalle profondità oceaniche per la fabbricazione dei propri prodotti.

Greenpeace sostiene la transizione verso un mondo rinnovabile al 100 per cento entro il 2050 e incoraggia i governi, i produttori e i consumatori ad adottare modelli di economia circolare più sostenibili che riducano la necessità di estrarre metalli e minerali. I marchi e i produttori devono concentrarsi maggiormente sulla progettazione dei prodotti, riducendo la necessità di nuove materie prime rendendo i prodotti più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili.

Leggi il report “In acque profonde”

giovedì 6 giugno 2019

Plastica, Greenpeace naviga nell'hotspot del Tirreno


«Una vera e propria “zuppa di plastica”, insieme a materiale organico di vario tipo, è quello che abbiamo trovato oggi nel Mar Tirreno, nella zona tra Elba-Corsica-Capraia all’interno del Santuario dei Cetacei. Bottiglie, contenitori in polistirolo utilizzati nel settore della pesca, flaconi, buste e bicchieri di plastica… per lo più imballaggi che vengono usati per pochi minuti ma restano in mare per decenni, hanno accompagnato la nostra navigazione», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. 
Greenpeace, con il CNR-IAS di Genova e l’Università Politecnica delle Marche, sta percorrendo il Mar Tirreno centrale per monitorare lo stato di inquinamento dei nostri mari.
«Quello che abbiamo documentato dimostra come la plastica sia ovunque, anche in aree che sulla carta dovrebbero essere protette, come il Santuario Pelagos. In questo tratto di mare, per una convergenza di correnti, si crea un hotspot di plastica che si estende in uno spazio di alto valore naturalistico per la presenza di numerose specie di cetacei. Abbiamo effettuato dei campionamenti con i ricercatori a bordo per verificare anche la presenza di microplastiche: i risultati saranno noti nei prossimi mesi», aggiunge Ungherese.
Con una petizione sottoscritta da più di tre milioni di persone in tutto il mondo Greenpeace chiede ai grandi marchi di ridurre drasticamente la produzione di plastica, a partire dall’usa e getta. «Solo così possiamo davvero intervenire sul problema e salvare i nostri mari e le specie che lo popolano».

Il Tour MayDaySOSPlastica si concluderà l’8 giugno, Giornata mondiale degli Oceani, all’Argentario.

mercoledì 10 ottobre 2018

Collisione navi nel Santuario dei Cetacei, centinaia di chilometri quadrati contaminati dagli idrocarburi


Una elaborazione di Greenpeace effettuata su immagini satellitari rivela che la contaminazione di idrocarburi rilasciati dalla collisione tra il portacontainer Virginia e il traghetto Ulysses, circa trenta chilometri a nord ovest di Capo Corso, in pieno Santuario dei Cetacei, riguarda ormai un'area superiore ai 100 chilometri quadrati. Le immagini mostrano infatti che l’area interessata dalla contaminazione è passata dai circa 88 chilometri quadrati dell’8 ottobre ai 104 chilometri quadrati di ieri, 9 ottobre.

Le foto sono state ottenute dal Satellite SENTINEL (https://apps.sentinel-hub.com/eo-browser/) e l’area interessata dalla contaminazione è stata calcolata utilizzando il programma ArcGIS per desktop app con il sistema di proiezione delle coordinate Europe_Albers_Equal_Area_Conic.

«Questo è l’ennesimo disastro che si verifica nel Santuario dei Cetacei. Recuperare gli idrocarburi dispersi è impossibile e se non si mettono a punto meccanismi efficaci per prevenire simili incidenti il Santuario dei Cetacei sarà sempre a rischio», dichiara Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia. «È evidente che questo incidente poteva essere evitato. Il sospetto che sulla plancia del traghetto Ulysses non ci fosse nessuno è assolutamente fondato e un meccanismo di controllo delle rotte che si applichi almeno alle grandi imbarcazioni avrebbe potuto prevenire quest’incidente».

Secondo quanto si apprende da fonti stampa francesi, si potrebbe trattare del rilascio di varie centinaia di tonnellate di combustibile IFO (Intermediate Fuel Oil). Si tratta di una sostanza più leggera del “bunker” (combustibile semisolido), con un livello di tossicità acuta definito “medio”, ma con elevato livello di rischio per imbrattamento (a causa dell’elevata viscosità) e con elevata persistenza.

Le prossime ore potrebbero essere decisive per l’evoluzione di questo disastro. Fino ad ora le condizioni meteo sono ottimali, ma tra ventiquattro ore nella zona sono previste onde di due metri. Ciò potrebbe comportare non solo una notevolissima, ulteriore, dispersione degli idrocarburi fuoriusciti dalla portacontainer Virginia, ma anche rendere difficoltosa l’operazione di separazione delle due navi. In condizione di mare agitato, peraltro, le due navi potrebbero subire danni ulteriori con conseguenze pericolosamente imprevedibili.

«Dopo la Costa Concordia, la perdita di bidoni con sostanze pericolose al largo della Gorgonia, il naufragio del cargo turco Mersa 2 sull’Isola d’Elba, quest’ennesimo incidente ci conferma che il Santuario oggi è indifeso», continua Giannì. «Chiediamo al ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, di dare finalmente concretezza, con i suoi colleghi di Francia e Monaco/Montecarlo, al Santuario dei Cetacei che evidentemente, per ora, è solo un Santuario virtuale», conclude.

venerdì 3 agosto 2018

Casa Surace e Greenpeace contro la plastica usa e getta


 
Come ridurre l’utilizzo della plastica monouso e combattere l’inquinamento da questo materiale nei nostri mari? Lo spiega con ironia un nuovo video diffuso oggi da Casa Surace, realizzato in collaborazione con Greenpeace Italia. Pochi minuti per spiegare in modo originale come si possa fare a meno di oggetti in plastica - bicchieri, piatti, posate, cannucce - che vengono utilizzati soltanto per pochi minuti, ma che in realtà hanno un impatto devastante e duraturo sull’ambiente.

«Siamo molto contenti della collaborazione con Casa Surace, il loro video risponde con semplicità e intelligenza ai dubbi più comuni sulla plastica monouso, e dimostra come sia possibile sostituirla nella nostra vita quotidiana», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia. «Nonostante infatti si parli sempre più spesso dell’inquinamento da plastica usa e getta, c’è bisogno di soluzioni, anche semplici, che evitino un peggioramento del fenomeno», conclude.

venerdì 13 gennaio 2017

Un Mediterraneo piccolo piccolo - Primo summit sulla blue economy med




Un Mediterraneo piccolo piccolo… Ha come punto di partenza un’analisi sulla situazione geo-politica del Mediterraneo e quindi sulle prospettive reali di sviluppo, o anche solo di difesa, delle attività connesse con crociere, nautica da diporto e traffici, il percorso che Blue Vision in collaborazione con Unioncamere, Lega Ambiente, e Lifegate proporrà il 21 febbraio a Roma (per l’appunto nella sede dell’Unione delle Camere di Commercio). 

Un percorso finalizzato a lanciare in Italia la Blue Economy. Obiettivo strategico dell’Unione Europea, la Blue Growth, ovvero lo sviluppo di tutte quelle attività eco-compatibili che consentano una crescita economica e sociale che faccia perno sul mare, è in Italia scarsamente avvertita come una priorità.

Ma proprio dai destini del Mediterraneo dipenderanno le possibilità reali del nostro paese di invertire la rotta e agganciare il treno di una crescita che sia rispettosa dell’ambiente, che frutti potenzialità in gran parte inespresse, anche anticipando le conseguenze derivanti da fenomeni di cambiamento in atto, primo fra tutti quello di un Mediterraneo piccolo piccolo.

venerdì 9 dicembre 2016

"Muta come un pesce" - L'indagine Greenpeace rivela un mondo di illegalità


La vendita al dettaglio del pesce fresco è in Italia spesso accompagnata da irregolarità nell’etichettatura e dalla mancanza di informazioni che potrebbero aiutare i consumatori a compiere scelte sostenibili. È quanto rivela il rapporto “Muta come un pesce”, pubblicato oggi da Greenpeace Italia, in cui sono state analizzate le informazioni indicate su oltre 600 etichette esposte sui banchi del pesce fresco di più di 100 rivenditori italiani, suddivisi tra supermercati, pescherie e mercati rionali.

L’indagine a campione effettuata da Greenpeace in tredici regioni fotografa una situazione davvero preoccupante: quasi l’80 per cento delle etichette esaminate non rispetta infatti appieno il regolamento europeo in vigore ormai da oltre due anni. Secondo le normative vigenti, in etichetta dovrebbe essere obbligatoria la presenza di informazioni come l’attrezzo di pesca utilizzato, l’esatta denominazione della zona o sottozona di cattura FAO, il nome scientifico e commerciale della specie e il metodo di produzione (pescato, allevato o pescato in acque dolci).

Dall’analisi dell’organizzazione ambientalista invece emerge che tra le informazioni obbligatorie è quasi sempre presente solo l’indicazione del nome commerciale; il nome scientifico è invece assente nel 34,1 per cento delle etichette analizzate. L’indicazione dell’attrezzo di pesca manca nel 36,3 per cento dei casi, mentre l’indicazione della zona di cattura non è indicata correttamente nel 56,6 per cento dei casi e sull'11 per cento delle etichette esaminate è completamente assente.

Le maggiori irregolarità sono state riscontrate nei mercati rionali e nelle pescherie. Nei supermercati, per quanto migliore, la situazione è lontana dall’essere perfetta e, a parte Esselunga, in tutte le catene visitate - tra cui Coop o Carrefour - le infrazioni registrate sono ancora troppo numerose.

«Solo conoscendo l’attrezzo di pesca e la zona di cattura esatta, i consumatori possono scegliere il pesce più sostenibile, ovvero quello locale catturato con metodi che hanno un minor impatto sull’ambiente», afferma Serena Maso, Campagna Mare di Greenpeace Italia. «Compiere scelte responsabili non solo aiuta il mare, ma anche i piccoli pescatori locali, in forte crisi perché schiacciati da un mercato invaso dai prodotti provenienti soprattutto da pesca industriale e distruttiva».

Greenpeace chiede maggiori controlli, più legalità e un’adeguata formazione del personale addetto alla vendita affinché le normative vigenti vengano rispettate. Inoltre i punti vendita dovrebbero ampliare l’offerta dei prodotti sostenibili e puntare alla valorizzazione dei prodotti ittici artigianali e locali a basso impatto ambientale: un passo necessario per aumentare la qualità dell’offerta, contribuire alla salute del mare e sostenere chi lo rispetta.

«Avere un’etichetta chiara e completa, che ci dica dove e come è stato pescato un pesce è un diritto dei consumatori e un obbligo dei rivenditori», continua Maso. «Serve maggiore responsabilità da parte di tutti, commercianti e consumatori. Dobbiamo imparare a consumare meno e meglio, e a pretendere le informazioni che ci servono per farlo», conclude.

Leggi il report “Muta come un pesce


giovedì 4 agosto 2016

Servizio per la segnalazione dei reati del mare e dell’ambiente sul Demanio Marittimo


Il Numero Verde per la segnalazione dei reati del mare e reati ambientali sul demanio marittimo è stato istituito dalla Regione Puglia per agevolare la corretta applicazione delle Ordinanze Balneari sul demanio marittimo attraverso un servizio di raccolta delle segnalazioni. Il Progetto è quello assicura un servizio di consulenza al cittadino che voglia segnalare un abuso, un’infrazione o un reato, facendo da tramite tra il segnalante e le istituzioni.
Il cittadino può segnalare:
  • Chiamando il numero verde 800.894.500, attivo tutti giorni dalle 9.30 alle 18.30, dal 15 giugno al 15 settembre
  • Inserendo la segnalazione online su questo sito
  • Inviando una segnalazione tramite app su smartphone (coming soon...)
Per maggiori info http://www.ecoreatipuglia.it/chi-siamo/

lunedì 18 aprile 2016

Greenpeace: "Niente quorum, ma dagli italiani segnale importante contro le lobby fossili"


Greenpeace ringrazia tutti gli elettori che oggi hanno deciso di esprimersi sul futuro delle politiche energetiche del nostro Paese, finalmente al centro del dibattito pubblico.

Greenpeace prende atto del mancato quorum, osservando però che a determinare questo risultato hanno contribuito i tempi contratti della campagna referendaria, il rifiuto del governo di indire un Election Day e una strategia politico-mediatica che a lungo ha tenuto sotto silenzio il tema del referendum sulle trivelle. Greenpeace ritiene comunque che la partecipazione alla consultazione non debba essere ignorata.

«Non siamo riusciti a raggiungere il quorum, ma non tutti hanno giocato pulito in questa partita. L’invito all’astensione venuto dal governo rimane una brutta pagina nella storia della nostra democrazia», commenta Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace. «Crediamo che Renzi e il suo governo dovrebbero invece ascoltare il segnale che viene dalle urne. Hanno votato, infatti, circa 15-16 milioni di italiani, quasi il doppio di quanti votarono nel 2013 per il PD e - come emerge dai primi dati - in maniera massiccia contro le trivelle. Parliamo dunque di una maggioranza nettissima rispetto al voto che ancor oggi legittima la premiership di Renzi”.

Greenpeace chiede al governo di prendere onestamente atto che un gran numero di italiani ha partecipato a questa consultazione per chiedere un futuro energetico diverso e una politica indipendente dalle lobby fossili. Un governo attento alla democrazia, all’indomani di un esito referendario come questo, aprirebbe un serio dibattito pubblico sul futuro energetico del Paese.

Greenpeace, inoltre, ha deciso di dare immediato seguito all’impegno referendario. La norma che assegna ai petrolieri concessioni senza una precisa scadenza, infatti, viola lo spirito e la lettera della Direttiva 94/22/CE, recepita dall'Italia con D.Lgsl. 625/96, secondo la quale "l'estensione delle aree costituenti oggetto di autorizzazioni e la durata di quest'ultime devono essere limitate". Greenpeace si appresta quindi a inviare un atto di denuncia alla Commissione Europea per segnalare questa e altre violazioni che denotano sistematici aggiustamenti delle norme e dei principi del Diritto comunitario a favore degli interessi dei petrolieri.

L’impegno di Greenpeace per la tutela dei mari e la rivoluzione sostenibile del sistema energetico non si ferma dunque qui. Si tratta solo di una battuta d’arresto sulla strada verso l’eliminazione dei combustibili fossili, obiettivo irrinunciabile se si vuole proteggere il clima e garantire alle prossime generazioni un Pianeta ospitale.

lunedì 29 febbraio 2016

Greenpeace: "Il ministro Martina difenda il mare e non rinnovi le licenze per le volanti a coppia"

In concomitanza con la scadenza dell’ennesimo permesso speciale di pesca concesso pochi mesi fa dal Ministero delle Politiche Agricole ad alcune volanti a coppia per pescare acciughe e sardine nel Canale di Sicilia e nell’Adriatico, Greenpeace torna a chiedere al ministro Martina di fermare una volta per tutte questo privilegio che sta svuotando il nostro mare, aggravando la sofferenza di stock già sovrasfruttati.

Un appello che arriva a due settimane di distanza dal grido di allarme sullo stato drammatico delle risorse del Mediterraneo lanciato a Catania dal Commissario europeo per la pesca, Karmenu Vella. In quell’occasione Vella aveva inoltre sottolineato come siano necessarie scelte politiche forti, anche “scomode”, per salvare il nostro mare dalla pesca eccessiva .

«È ora che il ministro Martina decida chiaramente da che parte stare», afferma Serena Maso, della campagna Mare di Greenpeace Italia. «Vanno attivate subito misure urgenti per ridurre in modo sostanziale lo sforzo di pesca e occorrono provvedimenti di lungo periodo per recuperare gli stock in declino, come le acciughe e le sardine. Bisogna garantire un futuro al mare e ai pescatori che da esso dipendono, invece di favorire gli interessi di pochi, a tutto svantaggio della salvaguardia di una delle nostre più grandi ricchezze».


Greenpeace chiede dunque al ministro Martina l’adozione di criteri e tempistiche precise e trasparenti per la riduzione immediata dello sforzo di pesca, l’eliminazione dei permessi speciali e senza alcuna concessione a chi commesso infrazioni, pescando illegalmente. Secondo l’organizzazione ambientalista, la regolarizzazione delle licenze per chi in passato è stato coinvolto in pratiche di pesca illegale è semplicemente inammissibile.

La vicenda delle volanti a coppia ha avuto inizio oltre quindici anni fa quando, in forma “sperimentale”, venne concesso ad alcuni pescherecci a strascico di ottenere una licenza provvisoria di pesca per catturare acciughe e sardine in Sicilia e nell’Adriatico, tramite un attrezzo chiamato volante a coppia, ovvero due pescherecci che trainano insieme una rete. Una decisione che ha nel tempo aumentato lo sforzo di pesca su stock già in declino. Da temporanea e provvisoria, questo tipo di licenza si è di fatto rivelata un espediente per rinnovare il permesso di pesca di anno in anno, oggi considerato come un “diritto acquisito”.

In alcune zone dell’Adriatico infatti qualche anno fa queste licenze “provvisorie” sono state regolarizzate. Eventualità che potrebbe ripetersi di nuovo in questi giorni, sia in altre aree adriatiche che in Sicilia, a Sciacca, uno dei principali porti italiani per la pesca di acciughe.

Dopo le proteste di Greenpeace, la scorsa estate il Ministero ha attivato un tavolo di consultazione per trovare delle soluzioni al problema delle licenze speciali per la pesca di acciughe e sardine. Dopo mesi di incontri, il Ministero non è stato però ancora in grado di produrre alcune proposta concreta. Al contrario, ha continuato a rinnovare i permessi ai trenta pescherecci che tuttora operano con una licenza provvisoria.

giovedì 31 luglio 2014

Legambiente: 29 mila kmq di marea rischio trivelle


Sono 29mila i km quadri di aree marine “sotto scacco delle compagnie petrolifere” secondo Goletta Verde di Legambiente che nel dossier “Per qualche tanica in piu’”, presentato oggi a Vasto – prima tappa abruzzese della campagna 2014 – elenca i numeri “dell’insensata corsa all’oro nero nei mari italiani”. Il ‘tesoretto’ agognato dalle compagnie petrolifere, fa notare Legambiente, ammonta a 9,778 milioni di tonnellate, sufficiente a risolvere il fabbisogno petrolifero nazionale soltanto per due mesi. “Cambiano, almeno formalmente, i Governi, ma la logica resta la stessa: favorire le compagnie petrolifere e mettere in serio pericolo una delle risorse piu’ importanti del nostro Paese – dichiara Rossella Muroni, direttrice generale di Legambiente – Avremmo potuto invece mettere in campo adeguate politiche di riduzione di combustibili fossili. Ad esempio utilizzando i circa 4 miliardi di euro ogni anno ‘regalati’ al settore dell’autotrasporto per una mobilita’ nuova e piu’ sostenibile”. Per Legambiente anche sul versante occupazione il confronto non tiene: investire oggi in efficienza energetica e fonti rinnovabili porterebbe nei prossimi anni 250 mila nuovi posti di lavoro, sei volte piu’ di quelli previste con le trivellazioni. Molti gli esempi, per l’associazione ambientalista, di come le norme approvate dai Governi degli ultimi anni abbiano dato un impulso alle attivita’ estrattive piuttosto che porre vincoli: quello piu’ eclatante e’ ritenuto il caso di Ombrina mare, piattaforma di Medoilgas Italia che dovrebbe sorgere a tre miglia dalla costa della provincia di Chieti. “Un impianto in forte contrasto con questo tratto di mare e con la costa antistante, dove da anni e’ perimetrata una nuova area protetta di cui si attende l’istituzione”. “Non ci sono i termini di sicurezza, sul piano ambientale, per giustificare un simile insediamento – ricorda Francesca Aloisio di Legambiente Abruzzo – peraltro deleterio anche sul piano economico, danneggiando direttamente e indirettamente le principali potenzialita’ del territorio. Anche l’ex ministro dell’ambiente Andrea Orlando l’estate scorsa aveva posto uno stop all’iter autorizzativo, contro il quale la societa’ aveva fatto ricorso al Tar. Al momento e’ in fase di autorizzazione l’Aia, su cui Legambiente e Wwf hanno presentato osservazioni. L’auspicio e’ che la commissione Via nazionale, chiamata a valutare l’Aia, sappia dare il giusto peso alle problematiche evidenziate dalle nostre osservazioni e dalle altre presentate, comprese quelle della Regione Abruzzo”. Poi una fotografia della situazione attuale.

giovedì 10 luglio 2014

SharkLife - Come salvare uno squalo con un sms

 “Una telefonata allunga la vita”. Ricordate il pay off dello spot video di una nota campagna di telecomunicazioni che ha visto per molti anni protagonista Massimo Lopez? Lo slogan è ancora attualissimo e ben si presta a descrivere un innovativo sistema realizzato per evitare che animali di grossa taglia, e in particolare lo squalo elefante,  possano morire nelle reti da posta dei pescatori vittime di catture accidentali.
 Il sistema, messo a punto dal Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università della Calabria, è stato sperimentato nei giorni scorsi con successo nelle acque dell’Isola dell’Asinara ed è stato sviluppato nell’ambito del progetto SharkLife con l’obiettivo specifico di ridurre le catture e la mortalità dello squalo elefante, il pesce più grande del Mediterraneo, che molto spesso rimane impigliato involontariamente nelle reti da posta mentre nuota lungo le coste in cerca di plancton.
 Il sistema, messo a punto per gli squali, potrà servire anche per animali di grande taglia come i cetacei e le tartarughe marine. Il Mediterraneo è un mare semi-chiuso che ospita 45 specie di squali e l’Italia, grazie alla sua posizione strategica nel cuore del Mediterraneo, ospita 43 specie di squali. Il rapporto IUCN presenta prove del fatto che l’area del Mediterraneo possiede la percentuale più alta di squali e razze minacciate al mondo. Il 42% delle 71 specie valutate sono elencate nella Lista Rossa delle specie minacciate (nelle categorie Criticamente minacciate, in pericolo o vulnerabili) a causa del loro stato di conservazione.

lunedì 16 giugno 2014

Spiagge sporche e inquinate? Denunciale su Mela Verde News – Combattiamo insieme l’inquinamento delle nostre coste

PROGETTO SPIAGGE PULITE





Rifiuti e inquinamento colpiscono spietatamente le zone costiere di diverse località del mondo rendendole sporche e non balneabili. Sono tantissime le tipologie di rifiuti abbandonate sulla sabbia o trasportate dalle acque. Chi dà vita a queste discariche a cielo aperto? Ovviamente l'uomo. A tal proposito Mela Verde News lancia il Progetto Spiagge Pulite.
Se vuoi denunciare le condizioni della spiaggia della tua città, invia una o più fotografie con una breve didascalia all'indirizzo info.melaverdenews@gmail.com. Tutte le vostre immagini saranno pubblicate qui sul sito, su Facebook e Twitter. L’unico modo per combattere l’inquinamento è denunciarlo e combatterlo insieme. Le nostre spiagge dovrebbero rappresentare dei paradisi terrestri in cui rilassarsi e non ammassi di rifiuti e sporcizia in cui ammalarsi. Dai una mano al pianeta e rendi la tua città un posto migliore.

Ecco le 10 spiagge più sporche e inquinate del mondo (non riduciamo le nostre così)

Port Philip Bay - Melbourne - Australia

Haina Beach - Repubblica Domenicana

 

lunedì 10 marzo 2014

Il mondo sommerso di Mark Laita


Il fotografo americano Mark Laita dopo aver indagato nei suoi lavori precedenti il mondo animale “in superficie” per questa sua nuova serie fotografica ha deciso che il set adatto dovesse essere l’acqua, o meglio sott’acqua. Così ha catturato la vivacità dei colori e il fascino sinuoso degli animali che popolano questo mondo sommerso. Il risultato è un piacere per il colpo d’occhio.

domenica 23 febbraio 2014

Ancora un no del Governo ai parchi eolici off shore in Puglia

 Durante l’ultimo Consiglio dei Ministri del Governo Letta sono stati bocciati due progetti che prevedevano l’installazione di impianti eolici off shore nel Golfo di Manfredonia. Francesco Tarantini, presidente Legambiente Puglia, ha così commentato la vicenda: «Invitiamo la Regione Puglia a sollecitare il nuovo Governo ad emanare quanto prima linee guida in modo da garantire tutela ma anche sviluppo per questi impianti, individuando le aree compatibili, e l’informazione dei cittadini. È tempo di porre fine alle contrapposizioni che scaturiscono fra le Amministrazioni locali e la Regione». Stando alla nota diffusa sempre da Legambiente l’eolico off shore è fondamentale per la Puglia per superare la situazione di caos che va dal Gargano a Taranto. O quanto meno lo sarebbe se si decidesse realmente di indirizzarsi verso una produzione energetica sempre più incentrata sulle fonti rinnovabili. È impensabile, infatti, attuare un progetto di difesa del territorio se poi non si dispone dei mezzi adeguati.
Di diverso parere il Coordinamento delle Associazioni di Capitanata e della BAT che accolgono positivamente la decisione del governo in considerazione del significativo impatto paesaggistico che l’off shore imporrebbe alla bellezza delle coste: «Esprimiamo l’apprezzamento e la gratitudine dei cittadini e di tutte le 60 Associazioni culturali, ambientaliste e di categoria del Coordinamento ai 17 Sindaci dei Comuni, al Parco Nazionale del Gargano e a quei Consiglieri Regionali e Parlamentari che si sono adoperati contro l’eolico offshore nel mare del Golfo di Manfredonia e del Gargano, per aver fatto arrivare al Governo la voce univoca delle Istituzioni del Territorio. Ora c’è la vera sfida da mettere in campo, cioè l’attivazione di attività virtuose che facciano esprimere compiutamente al nostro mare il suo immenso valore storico, culturale e sociale, oltre che ambientale ed economico».
Cosa sarà mai questo eolico off shore? Nient’altro che l’eolico realizzato in mare. Per l’installazione delle turbine si prediligono le acque poco profonde lungo la costa e in cui il vento spira forte e costante grazie all’assenza di ostacoli. Per merito delle condizioni favorevoli del vento in alto mare, l’eolico offshore (a parità di potenza installata) produce mediamente il 30% di energia in più rispetto al consueto onshore. Inoltre, per sfruttare venti più forti e risolvere il problema dell’impatto visivo delle turbine, ci si dovrebbe spingere più al largo, dove i fondali superano i 50 metri di profondità .In totale, l’Italia dispone di ben 11.686 km² di superficie marina adatta all’eolico offshore; le zone ideali sono soprattutto quelle dell’Italia centro-meridionale, con in testa proprio la Puglia
E così mentre a Londra viene inaugurato il parco eolico più grande del mondo, e negli USA si punta a installare le prime turbine eoliche galleggianti, la Puglia fa passi da gigante ma in direzione ostinata e contraria. Investire sul risparmio energetico qui è ancora un’utopia.
Mio articolo su Barletta News

lunedì 9 dicembre 2013

Convenzione di Barcellona - Adottato piano regionale sulla gestione dei rifiuti nel Mediterraneo


 La Conferenza delle parti della Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo ha finalmente adottato un piano regionale sulla gestione dei rifiuti in mare, che fornirà un quadro di riferimento comune per i Paesi del Mediterraneo rappresenterà uno sforzo a livello locale per ridurre al minimo la presenza e l'impatto dell'inquinamento provocato dai rifiuti marini. «Sono molto lieto di vedere la Convenzione del Mediterraneo prendere così seriamente il problema dei rifiuti marini. Si tratta di un passo importante per una riduzione consistente della spazzatura che finirà in mare entro il 2025, come i leader mondiali hanno sottolineato in occasione del summit Rio+20 l'anno scorso. Spero che altre convenzioni regionali sul mare intraprendano simili passi» ha commentato il commissario europeo all'ambiente, Janez Potocnik. Tre gli obiettivi principali del piano dei Paesi del Mediterraneo:
- prevenire che l'immondizia finisca in mare
- a rimuovere laddove possibile l’immondizia esistente
- far conoscere il problema
Ogni anno circa 10 milioni di tonnellate di spazzatura arrivano nei mari e negli oceani del Pianeta, a danno non solo dell'ambiente ma anche della salute umana e dell'economia. Questo piano è un grande passo in avanti verso la salvaguardia dell’ecosistema mediterraneo.