martedì 1 aprile 2014

Sotto la schiuma del Ciappetta-Camaggio c’è di più - Intervista al Prof. Ruggiero Quarto


Sabato 29 marzo “Striscia la notizia” ha mandato in onda un servizio sul Ciappetta-Camaggio in cui Fabio e Mingo hanno nuovamente documentato la presenza di schiuma nel canale. In realtà non si tratta affatto di una novità. Visto lo stato d’inquinamento in cui versa il corso d’acqua, la schiuma non va mai del tutto via anzi, ‘cammina’ lungo il canale e si rigenera continuamente. Il vero problema è che il Ciappetta-Camaggio torna sotto i riflettori solo quando qualcuno segnala la presenza di schiuma: l’inquinamento può essere invisibile ma ugualmente letale. Essendo infatti una vera e propria fogna a cielo aperto, l’attenzione (che sia mediatica, individuale o degli organi competenti)  non dovrebbe mai abbassarsi più di tanto specialmente perché sappiamo benissimo che l’acqua di questo canale è usata spesso e volentieri in maniera abusiva per irrigare i campi da cui si producono i prodotti che finiscono sulle nostre tavole. Proprio per questo, grazie all’aiuto del Prof. Ruggiero Quarto del Dipartimento di Geologia e Geofisica dell’Università di Bari, abbiamo deciso di analizzare a 360° il Ciappetta-Camaggio partendo dalla sua affascinante storia.

Ricostruiamo la storia del Ciappetta Camaggio
Esiste praticamente da sempre. Nasce tra Castel del Monte e Monte Caccia dalla congiunzione dei due canali Ciappetta e Camaggio: anticamente veniva chiamato fiume alvedium. Da un punto di vista storico ha un’importanza estremamente grande, infatti,  era già conosciuto al tempo dei crociati perché era la via che questi percorrevano immediatamente dopo la via Appia, in prossimità delle Murge Basse. I crociati che si dovevano imbarcare a Trani e Barletta seguivano il corso di questo alvedium tramite le antiche carte che già ne testimoniavano l’esistenza. In antichità, dunque, era più conosciuto come via che non come fiume. Oggi possiamo affermare che il Ciappetta Camaggio fa parte sia della nostra storia che della nostra geografia. Andrebbe tutelato e salvaguardato, invece è stato canalizzato e interrato perciò presenta inevitabilmente una serie di problemi dovuti alla regimentazione e velocizzazione delle acque.

Da un punto di vista geografico cos’è?
Da un punto di vista geo-morfologico e idrografico questo canale è una lama, ossia un corso d’acqua naturale che taglia in maniera abbastanza rettilinea un territorio, dando vita ad una propria unità biologica e morfologica: alcuni animali e alcuni vegetali si sviluppano esclusivamente in questi ambienti. La sua funzione è di convogliare- abbastanza direttamente – le acque meteoriche verso il mare, in occasione di abbondanti e intense piovosità. La lama caratterizza i territori carsici come la Puglia che, in questo caso, manca di un reticolo idrografico ramificato. Durante il lungo tragitto che percorre, tra Andria e Barletta passa vicino a una dolina (un bacino carsico) nei cui pressi è stato costruito il depuratore della città di Andria.


Come si sviluppa questo corso d’acqua?
Fino a Barletta il canale mantiene un corso quasi rettilineo, poi fa una deviazione di 70-80° per percorrere parallelamente la linea di costa, per poi rientrare e proseguire verso Bari. Nel corso degli anni, attraversando internamente Andria, è stato più volte  canalizzato e addirittura interrato. Tant’è vero che questa città fino a qualche decennio fa è stata particolarmente interessata da gravi episodi alluvionali, che dipendono direttamente dai corsi d’acqua. Tutte le disastrose immagini che recentemente avete visto in televisione (come in Liguria ad esempio) sono il risultato di una cattiva gestione del territorio italiano, ossia quando non si considera che i corsi d’acqua – sia perenni che momentanei – ad un certo punto alluvionano. Questo può succedere anche a distanza di qualche secolo visto che i tempi geologici sono molto dilatati e non corrispondono certamente ai tempi umani. In realtà basterebbe rispettare la regola che dove c’è un corso d’acqua non si può costruire perché prima o poi l’alluvione arriva. Per fortuna in seguito a una legge dell’89, la regione Puglia si è attrezzata con l’Autorità di Bacino che finalmente ha posto delle regole, dei limiti e dei vincoli di inedificabilità a cavallo di tutte le lame pugliesi, identificando così situazioni di rischio (che interagiscono con la presenza umana) e situazioni di pericolo (esclusivamente naturali).

A Barletta esistono zone di questo tipo?
A partire dal 2005, a cavallo del Ciappetta Camaggio, sono stati posti dei limiti. Una zona molto pericolosa a Barletta, soggetta a fenomeni alluvionali, è quella che va da via Andria verso la cementeria. Qui i fenomeni sono più frequenti perché la deviazione repentina del canale fa arrivare l’acqua con molta potenza e con essa arrivano e si depositano tutti i residui naturali e artificiali formando un effetto barriera, che fa travalicare l’acqua rendendo via Andria una zona alluvionale. Tant’è che sul sito dell’Autorità di Bacino è evidenziata con il rosso che simboleggia per l’appunto una zona pericolosa.

Prima ha fatto riferimento al depuratore di Andria. Tasto dolente?
Il depuratore di Andria riversa le acque di depurazione nel Ciappetta Camaggio. Le acque che poi arrivano alla foce sono sia il risultato dello scarico di queste acque reflue, sia delle acque piovane e sia di acque che vengono scaricate abusivamente. A tal proposito non ci sono elementi sufficienti per poter giustificare il problema delle schiume e dell’inquinamento. Per etichettare gli agenti inquinanti sono necessari dei monitoraggi che possono accertare, per esempio, il malfunzionamento di un depuratore, gli scarichi abusivi di Andria, gli scarichi delle acque di pulizia da parte di autobotti. Insomma gli scarichi di acque di ogni genere, ma personalmente non lo posso provare perché sarebbe necessario un controllo e un monitoraggio costante del territorio da parte dei nuclei predisposti. A esempio, per gli scarichi abusivi occasionali i controlli potrebbero anche essere effettuati attraverso sistemi di video sorveglianza collegati in tempo reale con i vari organi competenti. I controlli purtroppo non sono esaustivi. Oltre a quelli che per legge ogni depuratore deve fare, bisogna controllare diversi elementi e accertarsi che rientrino in alcune tabelle presenti in una determinata normativa. Anche le reti urbane andrebbero monitorate e identificate per constatare la presenza di eventuali scarichi.

Visto che il problema è sotto gli occhi di tutti perché non si interviene mai concretamente? Cosa potrebbe succedere se non si fa nulla ancora per molto?
Le lame percorrono territorio carsico che per sua definizione e costituzione ha un terreno molto permeabile, le cui acque scorrono e soprattutto s’infiltrano nel terreno. Quando queste acque sono abbondanti significa che derivano principalmente dalle precipitazioni atmosferiche, sono diluite e meno pericolose; diversamente quando sono scarse significa che sono quasi elusivamente di natura artificiale perciò s’infiltra quasi tutta nel sottosuolo. D’estate per esempio siamo unicamente in presenza di acqua reflua. Per cui, il persistere di un fenomeno di inquinamento nelle acque porta all’inquinamento della falda che viene utilizzata in agricoltura per irrigare i campi, i vigneti e gli uliveti che si riempiono di agenti inquinanti metalli pesanti, che dal terreno passano alla pianta e dalla pianta o dagli ortaggi direttamente all’uomo. Ci sono inquinamenti da metalli pesanti praticamente irreversibili per se la falda e il mare possono essere inquinati da idrocarburi policiclici aromatici (IPA), metalli pesanti, fosfati e nitrati che possono causare danni seri alla salute dell’uomo e all’ambiente. La schiuma di mare, ad esempio, è legata all’abbondante presenza di nitrati fosfati – provenienti dai depuratori – che sono potenti nutrienti per gli organismi marini, perciò si mette in moto una catena alimentare che crea proliferazione di alghe in periodi non consoni. Quando l’alga muore, essendo una sostanza organica, viene agitata e produce la schiuma in mare. Perciò è estremamente importante monitorare lo scarico delle acque reflue.

Barletta può attingere a finanziamenti economici per sviluppare progetti o realizzare bonifiche nell’area del Ciappetta-Camaggio?
I fondi ci sono e sono fondi da cui già si può attingere. Esistono i fondi europei e i fondi europei di sviluppo regionale ai quali poi si unisono, in Puglia, i fondi Italia/Albania e i fondi Italia Grecia. Nel campo delle misure ambientali si può certamente accedere a fondi strutturali, ambientali e culturali. Ariscianne, ad esempio, qualche anno fa è stata oggetto di un fondo di circa 600.000 euro di finanziamento per la valorizzazione geormorfologica, archeologica, ambientale e faunistica. Furono realizzati scavi archeologici e perforazioni stratigrafiche che hanno portato alla scoperta di fenomeni di tsunami che i passato colpirono Barletta. Sono stati scoperti percorsi ambientali e piccoli canali che oggi rappresentano i resti di un’antica area portuale. Tempo fa si chiese un finanziamento per un progetto di rinaturalizzazione e ricostruzione dell’antico lago di Ariscianne che insieme alle Saline costituisce un’importante tappa per gli uccelli che migrano verso l’Africa. Ariscianne e Boccadoro sono zone umide di fondamentale importanza e d’incredibile bellezza. Nella zona di Boccadoro c’è la sorgente più grande della Puglia che produce 3000 litri di acqua al secondo: stiamo parlando di una quantità enorme tant’è che l’Acquedotto pugliese si stava muovendo per prelevarne l’acqua. È anche vero però che il Ciappetta Camaggio si dalla notte dei tempi è stato un sito preso d’assalto per lo stoccaggio di materiali di risulta delle aziende di Barletta. Da centinaia di anni chi demolisce scarica in queste palude e canneti, o a mare in prossimità di Ariscianne. Fino a qualche decennio fa in quelle zone esisteva la malaria ed sono state bonificate dal punto di vista idraulico per eliminare il rischio d’infezione e per recuperare terreni coltivabili. Oggi non c’è più bisogno di terreni agricoli con molta acqua, infatti, in quella zone la maggior parte dei terreni privati sono in realtà abbandonati a se stessi. Si potrebbe fare un esproprio generalizzato che sia conveniente per gli enti territoriali, per i comuni e per i proprietari e rinaturalizzare l’intera area.

Molte persone “utilizzano” le acque del Ciappetta-Camaggio. Depurarle e adoperarle efficientemente in agricoltura è ancora un miraggio?
Perché le acque possano essere adoperate in agricoltura bisogna rispettare una legislazione (il D.M 185/2003) al cui interno esiste una tabella che fissa tutti i limiti delle sostanze scaricate ad esempio alcuni nitrati e fosfati che non devono superare una certa soglia. Pur esistendo questi limiti, non esiste nessuna legge che ne obbliga il controllo(in realtà vengono monitorati parametri indiretti) per cui le acque arrivano a mare cariche di sostanze nocive per l’uomo e l’ambiente. In poche parole lo scarico delle acque reflue a Barletta è legale.

Ma come funzionano questi controlli?
All’uscita del depuratore si prendono dei campioni e attualmente i  loro valori rientrano nelle norme di legge attuali. Ovviamente, le tabelle cambiano a seconda del luogo in cui avviene lo scarico. Le acque che devono essere utilizzate per scopi irrigui hanno ancora un’altra tabella, stavolta più restrittiva. Qui ad esempio la quantità di fosfati si misura perché vengono assorbiti dal terreno (in mare invece si diluiscono). È così che si costruiscono impianti di affinamento che servono a limitare l’assorbimento di sostanze tossiche e pericolose. A Barletta un impianto di affinamento c’è ma non funziona e per realizzarlo sono stati spesi circa 6 milioni e mezzo di euro  (il collaudo è stato effettuato il 28 aprile 2011). L’acqua affinata da questo impianto in teoria dovrebbe raggiungere una vasca di accumulo posizionata nei pressi di Canne della Battaglia, alimentata da due pozzi. Questo impianto avrebbe dovuto entrare in funzione nel settembre 2011 ma ciò non è mai avvenuto perché durante il collaudo effettuato ad aprile dello stesso anno è risultato non idoneo per l’abbattimento di composti di azoto e fosforo. È stato praticamente costruito non a norma e di conseguenza è stato bloccato. Ora, per mettere a norma quest’impianto di affinamento, occorrerà spendere almeno 150.000 euro (già finanziati). La cosa assurda, inoltre, è che la capacità dell’impianto è di 6.300.000 metri cubi annui (oltre 2 milioni dovrebbero essere smaltiti solo nel periodo irriguo) mentre la domanda di acqua risulta di 180.000 metri cubi. Questo significa che meno del 10% delle acque affinate è in realtà richiesto dagli agricoltori. E il resto?
Continua…

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