Sabato 29 marzo “Striscia la notizia” ha mandato in onda un servizio sul Ciappetta-Camaggio
in cui Fabio e Mingo hanno nuovamente documentato la presenza di
schiuma nel canale. In realtà non si tratta affatto di una novità. Visto
lo stato d’inquinamento in cui versa il corso d’acqua, la schiuma non
va mai del tutto via anzi, ‘cammina’ lungo il canale e si rigenera
continuamente. Il vero problema è che il Ciappetta-Camaggio torna sotto i
riflettori solo quando qualcuno segnala la presenza di schiuma:
l’inquinamento può essere invisibile ma ugualmente letale. Essendo
infatti una vera e propria fogna a cielo aperto, l’attenzione (che sia
mediatica, individuale o degli organi competenti) non dovrebbe mai
abbassarsi più di tanto specialmente perché sappiamo benissimo che
l’acqua di questo canale è usata spesso e volentieri in maniera abusiva
per irrigare i campi da cui si producono i prodotti che finiscono sulle
nostre tavole. Proprio per questo, grazie all’aiuto del Prof. Ruggiero Quarto
del Dipartimento di Geologia e Geofisica dell’Università di Bari,
abbiamo deciso di analizzare a 360° il Ciappetta-Camaggio partendo dalla
sua affascinante storia.
Ricostruiamo la storia del Ciappetta Camaggio
Esiste praticamente da sempre. Nasce tra
Castel del Monte e Monte Caccia dalla congiunzione dei due canali
Ciappetta e Camaggio: anticamente veniva chiamato fiume alvedium.
Da un punto di vista storico ha un’importanza estremamente grande,
infatti, era già conosciuto al tempo dei crociati perché era la via che
questi percorrevano immediatamente dopo la via Appia, in prossimità
delle Murge Basse. I crociati che si dovevano imbarcare a Trani e
Barletta seguivano il corso di questo alvedium tramite le antiche carte che già ne testimoniavano l’esistenza. In antichità, dunque, era più conosciuto come via che non come fiume. Oggi
possiamo affermare che il Ciappetta Camaggio fa parte sia della nostra
storia che della nostra geografia. Andrebbe tutelato e salvaguardato,
invece è stato canalizzato e interrato perciò presenta inevitabilmente
una serie di problemi dovuti alla regimentazione e velocizzazione delle
acque.
Da un punto di vista geografico cos’è?
Da un punto di vista geo-morfologico e idrografico questo canale è una lama,
ossia un corso d’acqua naturale che taglia in maniera abbastanza
rettilinea un territorio, dando vita ad una propria unità biologica e
morfologica: alcuni animali e alcuni vegetali si sviluppano
esclusivamente in questi ambienti. La sua funzione è di convogliare-
abbastanza direttamente – le acque meteoriche verso il mare, in
occasione di abbondanti e intense piovosità. La lama caratterizza i
territori carsici come la Puglia che, in questo caso, manca di un
reticolo idrografico ramificato. Durante il lungo tragitto che percorre,
tra Andria e Barletta passa vicino a una dolina (un bacino carsico) nei
cui pressi è stato costruito il depuratore della città di Andria.
Come si sviluppa questo corso d’acqua?
Fino a Barletta il canale mantiene un
corso quasi rettilineo, poi fa una deviazione di 70-80° per percorrere
parallelamente la linea di costa, per poi rientrare e proseguire verso
Bari. Nel corso degli anni, attraversando internamente Andria, è stato
più volte canalizzato e addirittura interrato. Tant’è vero che questa
città fino a qualche decennio fa è stata particolarmente interessata da
gravi episodi alluvionali, che dipendono direttamente dai corsi d’acqua.
Tutte le disastrose immagini che recentemente avete visto in
televisione (come in Liguria ad esempio) sono il risultato di una
cattiva gestione del territorio italiano, ossia quando non si considera
che i corsi d’acqua – sia perenni che momentanei – ad un certo punto
alluvionano. Questo può succedere anche a distanza di qualche secolo
visto che i tempi geologici sono molto dilatati e non corrispondono
certamente ai tempi umani. In realtà basterebbe rispettare la regola
che dove c’è un corso d’acqua non si può costruire perché prima o poi
l’alluvione arriva. Per fortuna in seguito a una legge dell’89, la
regione Puglia si è attrezzata con l’Autorità di Bacino che finalmente
ha posto delle regole, dei limiti e dei vincoli di inedificabilità a
cavallo di tutte le lame pugliesi, identificando così situazioni di
rischio (che interagiscono con la presenza umana) e situazioni di
pericolo (esclusivamente naturali).
A Barletta esistono zone di questo tipo?
A partire dal 2005, a cavallo del
Ciappetta Camaggio, sono stati posti dei limiti. Una zona molto
pericolosa a Barletta, soggetta a fenomeni alluvionali, è quella che va
da via Andria verso la cementeria. Qui i fenomeni sono più frequenti
perché la deviazione repentina del canale fa arrivare l’acqua con molta
potenza e con essa arrivano e si depositano tutti i residui naturali e
artificiali formando un effetto barriera, che fa travalicare l’acqua
rendendo via Andria una zona alluvionale. Tant’è che sul sito
dell’Autorità di Bacino è evidenziata con il rosso che simboleggia per
l’appunto una zona pericolosa.
Prima ha fatto riferimento al depuratore di Andria. Tasto dolente?
Il depuratore di Andria riversa le acque
di depurazione nel Ciappetta Camaggio. Le acque che poi arrivano alla
foce sono sia il risultato dello scarico di queste acque reflue, sia
delle acque piovane e sia di acque che vengono scaricate abusivamente. A
tal proposito non ci sono elementi sufficienti per poter giustificare
il problema delle schiume e dell’inquinamento. Per etichettare gli
agenti inquinanti sono necessari dei monitoraggi che possono accertare,
per esempio, il malfunzionamento di un depuratore, gli scarichi abusivi
di Andria, gli scarichi delle acque di pulizia da parte di autobotti.
Insomma gli scarichi di acque di ogni genere, ma personalmente non lo
posso provare perché sarebbe necessario un controllo e un monitoraggio
costante del territorio da parte dei nuclei predisposti. A esempio, per
gli scarichi abusivi occasionali i controlli potrebbero anche essere
effettuati attraverso sistemi di video sorveglianza collegati in tempo
reale con i vari organi competenti. I controlli purtroppo non sono
esaustivi. Oltre a quelli che per legge ogni depuratore deve fare,
bisogna controllare diversi elementi e accertarsi che rientrino in
alcune tabelle presenti in una determinata normativa. Anche le reti
urbane andrebbero monitorate e identificate per constatare la presenza
di eventuali scarichi.
Visto che il problema è sotto gli
occhi di tutti perché non si interviene mai concretamente? Cosa potrebbe
succedere se non si fa nulla ancora per molto?
Le lame percorrono territorio carsico che
per sua definizione e costituzione ha un terreno molto permeabile, le
cui acque scorrono e soprattutto s’infiltrano nel terreno. Quando queste
acque sono abbondanti significa che derivano principalmente dalle
precipitazioni atmosferiche, sono diluite e meno pericolose;
diversamente quando sono scarse significa che sono quasi elusivamente di
natura artificiale perciò s’infiltra quasi tutta nel sottosuolo.
D’estate per esempio siamo unicamente in presenza di acqua reflua. Per
cui, il persistere di un fenomeno di inquinamento nelle acque porta
all’inquinamento della falda che viene utilizzata in agricoltura per
irrigare i campi, i vigneti e gli uliveti che si riempiono di agenti
inquinanti metalli pesanti, che dal terreno passano alla pianta e dalla
pianta o dagli ortaggi direttamente all’uomo. Ci sono inquinamenti da
metalli pesanti praticamente irreversibili per se la falda e il mare
possono essere inquinati da idrocarburi policiclici aromatici (IPA), metalli pesanti, fosfati e nitrati che possono causare danni seri alla salute dell’uomo e all’ambiente. La schiuma di mare,
ad esempio, è legata all’abbondante presenza di nitrati fosfati –
provenienti dai depuratori – che sono potenti nutrienti per gli
organismi marini, perciò si mette in moto una catena alimentare che crea
proliferazione di alghe in periodi non consoni. Quando l’alga muore,
essendo una sostanza organica, viene agitata e produce la schiuma in
mare. Perciò è estremamente importante monitorare lo scarico delle acque
reflue.
Barletta può attingere a finanziamenti
economici per sviluppare progetti o realizzare bonifiche nell’area del
Ciappetta-Camaggio?
I fondi ci sono e sono fondi da cui già
si può attingere. Esistono i fondi europei e i fondi europei di sviluppo
regionale ai quali poi si unisono, in Puglia, i fondi Italia/Albania e i
fondi Italia Grecia. Nel campo delle misure ambientali si può
certamente accedere a fondi strutturali, ambientali e culturali. Ariscianne,
ad esempio, qualche anno fa è stata oggetto di un fondo di circa
600.000 euro di finanziamento per la valorizzazione geormorfologica,
archeologica, ambientale e faunistica. Furono realizzati scavi
archeologici e perforazioni stratigrafiche che hanno portato alla
scoperta di fenomeni di tsunami che i passato colpirono Barletta. Sono
stati scoperti percorsi ambientali e piccoli canali che oggi
rappresentano i resti di un’antica area portuale. Tempo fa si chiese un
finanziamento per un progetto di rinaturalizzazione e ricostruzione
dell’antico lago di Ariscianne che insieme alle Saline costituisce
un’importante tappa per gli uccelli che migrano verso l’Africa.
Ariscianne e Boccadoro sono zone umide di fondamentale importanza
e d’incredibile bellezza. Nella zona di Boccadoro c’è la sorgente più
grande della Puglia che produce 3000 litri di acqua al secondo: stiamo
parlando di una quantità enorme tant’è che l’Acquedotto pugliese si
stava muovendo per prelevarne l’acqua. È anche vero però che il
Ciappetta Camaggio si dalla notte dei tempi è stato un sito preso
d’assalto per lo stoccaggio di materiali di risulta delle aziende di
Barletta. Da centinaia di anni chi demolisce scarica in queste
palude e canneti, o a mare in prossimità di Ariscianne. Fino a qualche
decennio fa in quelle zone esisteva la malaria ed sono state bonificate
dal punto di vista idraulico per eliminare il rischio d’infezione e per
recuperare terreni coltivabili. Oggi non c’è più bisogno di terreni
agricoli con molta acqua, infatti, in quella zone la maggior parte dei
terreni privati sono in realtà abbandonati a se stessi. Si potrebbe fare
un esproprio generalizzato che sia conveniente per gli enti
territoriali, per i comuni e per i proprietari e rinaturalizzare
l’intera area.
Molte persone “utilizzano” le acque
del Ciappetta-Camaggio. Depurarle e adoperarle efficientemente in
agricoltura è ancora un miraggio?
Perché le acque possano essere adoperate
in agricoltura bisogna rispettare una legislazione (il D.M 185/2003) al
cui interno esiste una tabella che fissa tutti i limiti delle sostanze
scaricate ad esempio alcuni nitrati e fosfati che non devono superare
una certa soglia. Pur esistendo questi limiti, non esiste nessuna legge
che ne obbliga il controllo(in realtà vengono monitorati parametri
indiretti) per cui le acque arrivano a mare cariche di sostanze nocive
per l’uomo e l’ambiente. In poche parole lo scarico delle acque reflue a Barletta è legale.
Ma come funzionano questi controlli?
All’uscita del depuratore si prendono dei
campioni e attualmente i loro valori rientrano nelle norme di legge
attuali. Ovviamente, le tabelle cambiano a seconda del luogo in cui
avviene lo scarico. Le acque che devono essere utilizzate per scopi
irrigui hanno ancora un’altra tabella, stavolta più restrittiva. Qui ad
esempio la quantità di fosfati si misura perché vengono assorbiti dal
terreno (in mare invece si diluiscono). È così che si costruiscono
impianti di affinamento che servono a limitare l’assorbimento di
sostanze tossiche e pericolose. A Barletta un impianto di affinamento c’è ma non funziona e per realizzarlo sono stati spesi circa 6 milioni e mezzo di euro
(il collaudo è stato effettuato il 28 aprile 2011). L’acqua affinata da
questo impianto in teoria dovrebbe raggiungere una vasca di accumulo
posizionata nei pressi di Canne della Battaglia, alimentata da due
pozzi. Questo impianto avrebbe dovuto entrare in funzione nel settembre
2011 ma ciò non è mai avvenuto perché durante il collaudo effettuato ad
aprile dello stesso anno è risultato non idoneo per l’abbattimento di composti di azoto e fosforo.
È stato praticamente costruito non a norma e di conseguenza è stato
bloccato. Ora, per mettere a norma quest’impianto di affinamento,
occorrerà spendere almeno 150.000 euro (già finanziati). La cosa
assurda, inoltre, è che la capacità dell’impianto è di 6.300.000 metri
cubi annui (oltre 2 milioni dovrebbero essere smaltiti solo nel periodo
irriguo) mentre la domanda di acqua risulta di 180.000 metri cubi.
Questo significa che meno del 10% delle acque affinate è in realtà
richiesto dagli agricoltori. E il resto?
Continua…
Nessun commento:
Posta un commento