Una
battaglia di retroguardia a spese del Paese quella sostenuta da aziende e sindacati
di categoria in difesa delle trivellazioni, basata su valutazioni economiche
ampiamente fittizie e su tre grandi mistificazioni. Lo sostengono Greenpeace, Legambiente e WWF, che
ricordano, innanzitutto, come: non
esista alcun provvedimento di blocco dell’estrazione di idrocarburi gassosi
o liquidi in Italia, ma solo la sospensione per 18 mesi di poche decine di
permessi di prospezione e ricerca in vista della definizione di un Piano delle
aree, che era stato previsto già dal 2014 e poi, inspiegabilmente cancellato
nel 2016; non esiste, quindi, alcuna
ricaduta di massa sui livelli occupazionali nel settore della produzione di
oil and gas in Italia; non esiste nel
nostro Paese un ricco e diversificato settore dedicato alla estrazione di
idrocarburi, ma, a fronte di riserve di idrocarburi comunque scarse, presenta un una situazione di assoluta
predominanza in capo a quella che sostanzialmente è ancora una azienda di
Stato, cioè all’ENI e alle sue associate che controllano l’85% delle
piattaforme petrolifere offshore e l’assoluta maggioranza delle trivellazioni a
terra.
Le
tre associazioni, in vista anche della mobilitazione sindacale del 9 febbraio, confermano
il loro impegno nel contribuire alla
sicurezza ambientale ed energetica del Paese, che è possibile solo emancipandolo
dalle fonti fossili e si dichiarano pronte
al confronto con le forze sociali, in particolare con i sindacati sul futuro energetico del Paese e sulle nuove
frontiere economiche ed occupazionali in campo energetico. Le tre associazioni
chiedono inoltre al Governo che la
redazione del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee
(PiTESAI), previsto dal decreto semplificazioni, sia coerente con l’obiettivo della decarbonizzazione fissato dalla
Strategia Energetica Nazionale (SEN), con le indicazioni che emergeranno dal
Piano Energia e Clima, in attuazione dell’Accordo di Parigi e con il corretto
recepimento della nuova direttiva comunitaria sulle rinnovabili (c.d. RED2).
Greenpeace,
Legambiente e WWF riguardo alle prospettive
del settore energetico e il peso su Sistema Italia del settore delle
trivellazioni oil and gas, ricordano che il settore è ormai in declino, condannato
anche dai rischi crescenti di risarcimenti per i danni causati dal cambiamento
climatico. Sono questi rischi, e la crescita impetuosa di tecnologie innovative
– una partita dalla quale l’Italia rischia di auto escludersi con un clamoroso harakiri
– che stanno spingendo gli investitori lontani dalle fonti fossili. Abbiamo già perso tempo per immaginare una
prospettiva di lungo respiro per riqualificare i lavoratori del settore oil
&gas: continuando a promettere vita eterna a un comparto in agonia non
gli faremo di certo un favore. Ci saremmo aspettati una maggiore reazione da
parte del sindacato quando, negli scorsi anni, in Italia sono stati distrutti
migliaia di posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili, causati da
interventi legislativi miopi e perfino retroattivi, ai danni di centinaia di
piccole e medie aziende italiane.
Scheda tecnica
Greenpeace,
Legambiente e WWF ricordano alle forze sociali quali siano le prospettive del settore energetico e il
peso sul Sistema Italia del settore
dell’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi.
Prospettive del
settore energetico
– In Italia, nonostante la contrazione degli incentivi (che ha portato un
taglio netto di 2 miliardi circa tra il 2016 e il 2017, da 14,4 mld del 2016 ai
12,5 mld del 2017), il GSE/Gestore dei Servizi Energetici registra nel 2018 la
performance molto positiva delle fonti rinnovabili che già nel 2015, con il
raggiungimento di una quota del 17,7%, ha consentito di raggiungere e superare,
con 5 anni di anticipo, il target al 2020 del 17% di penetrazione sui consumi
energetici complessivi, mentre le rinnovabili coprono già il 31% del consumo
interno lordo di energia elettrica 2017. Un settore in pieno sviluppo quelle
delle rinnovabili e dell’efficienza energetica in Italia nel quale nei prossimi
anni si prevedono investimenti per 145 miliardi di euro, come attesta la SEN
2018. Questo quando, come ci ricorda l’OCSE, l’Italia è un Paese che produce
piccoli volumi di gas naturale e petrolio e che, come ricordato da dati storici
prodotti dal Ministero dello Sviluppo Economico nei nostri fondali marini
ci sono 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che stando ai
consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane,
mentre quelle di gas a mare coprirebbero un fabbisogno di circa 6 mesi. E se si attingesse anche alle
riserve di petrolio presenti nel sottosuolo, concentrate
soprattutto in Basilicata, le riserve di greggio a mare e a terra verrebbero
consumate in appena 13 mesi.
Il peso sul Sistema Italia dei trivellatori – Il settore
delle trivellazioni in Italia è ampiamente favorito da meccanismi fiscali, che
sia l’OCSE che la Banca Mondiale chiedono di cancellare, di abbattimento dei
costi di produzione che ricadono su tutti i cittadini. Nel nostro Paese le aziende estrattive a mare non pagano royalty
(10%) entro 80.000.000 Smc (metri cubi standard), e entro 50.000 tonnellate di
petrolio (7%), mentre a terra non si pagano le royalty (10%) entro 25.000.000
Smc e entro 20.000 tonnellate petrolio (10%). Questo comporta, come rilevato ad
ultimo nel 2015 dalle associazioni che: su 123 concessioni operanti delle 202
presenti in terra e in mare in Italia solo 30 superavano la franchigia oltre la
quale si dovevano versare le royalty e che tra il 2017 e i primi tre trimestri
del 2018 la franchigia è stata applicata solo al 27% della produzione italiana
di gas offshore e al 22% circa della produzione offshore di petrolio. Si
aggiunga, poi, che il settore gode anche di incentivi per le ricerche di
prospezione e per la coltivazione dei cosiddetti giacimenti marginali e per la
coltivazione dei cosiddetti giacimenti marginali e agevolazioni sul gasolio
utilizzato nelle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi. Si aggiunga poi che il costo annuale delle
concessioni nel nostro Paese, prima dell’aumento di 25 volte previsto nel
decreto semplificazioni era di circa 100/200 volte inferiore a quello applicato
in Olanda per le attività di prospezione e ricerca e di circa 12 volte per le
concessioni produttive. Il prelievo fiscale su queste attività si aggira tra il
50 e il 68%, quando in Norvegia (maggiore produttore europeo di idrocarburi) si
aggira attorno al 78% e nel Regno Unito tra il 68 e l’82%.
Nessun commento:
Posta un commento